LA DANZA DEI SANTI

Il dato più significativo ed evidente, caratterizzante più che mai, che viene fuori dalle analisi relative alle tradizioni delle feste religiose siciliane è la persistenza di danze connesse ai riti festivi processionali. E’ quasi impossibile trovare una comunità siciliana, piccola o grande che sia, che non celebri un rito devozionale rivolto a un santo patrono, o di particolare importanza devozionale, in cui non sia connessa una danza oppure, tanto meglio e il più delle volte, una corsa in cui sia protagonista il fercolo su cui viene posto il simulacro. Fra i tanti casi ricordiamo: la corsa dei giovani scalzi sotto la vara di San Sebastiano a Mistretta; la calata di San Filippo d’Agira a Calatabiano lungo un sentiero impervio e sterrato; l’abbattimento del muro con il fercolo di San Giacomo lanciato di corsa a Capizzi; la singolare gara, assimilabile a un vero e proprio tiro alla fune, fra i portatori di San Cono nel paese omonimo; l’alternarsi di danze e corse con il fercolo dei Santi Cosma e Damiano a Sferracavallo. Altri esempi, particolari e diversi, sono le ballate dei cerei (cannelore) che caratterizzano le feste del catanese: delle vere e proprie opere d’arte lignee in onore del santo di riferimento, in stile barocco, su cui sono raffigurate scene del santo e che si sviluppano in circa 4 metri di altezza per svariati quintali di peso, le quali vengono sorrette e fatte danzare da otto portatori, appartenenti ai rioni o ceti disfidanti, a ritmo di tarantelle, mazurke e polke. Altri riti danzanti sono anche legati alle funzioni celebrative esteriori della settimana santa: ecco, quindi, tanti luoghi (Trapani, Caltanissetta, Palermo, Pietraperzia) dove la sera del Venerdì Santo i simulacri partecipanti alle funzioni vengono portati a spalla nei luoghi processionali con un incedere lento e danzante, il più delle volte ondulatorio, a seguire il ritmo pacato e triste delle bande musicali o dei cori devozionali. Altro ritmo, invece, nel giorno della domenica di Pasqua, dove in quasi tutti i centri isolani avviene il rito de “lu ‘Ncontru” o “Giunta”: l’incontro cioè, fra i simulacri della Madonna e del Cristo Risorto in un punto prestabilito, che coincide sempre con il punto centrale del vecchio centro abitato. In questo caso i fercoli (vare, in gergo isolano) con le statue arrivano al punto di incontro a passo sfrenato di corsa, con i portatori che, in taluni casi, arrivano all’assoluta spossatezza e esaltazione. In molti casi c’è un simulacro messaggero, che fa la spola fra le due statue della Madonna e del Cristo quasi sempre a ritmo di corsa: questo ruolo nella Sicilia Occidentale è quasi sempre ricoperto dalla statua di San Michele Arcangelo, che nella parte occidentale della provincia di Agrigento viene spesso fatta correre più volte nel tratto di strada che divide le due statue, con continui sobbalzi e roteazioni accompagnati dal ritmo forsennato dei complessi bandistici, che mettono in evidenza, in forma esibizionistica, la destrezza e la forza fisica dei portatori quasi tutti giovani: un chiaro richiamo a quello che succede durante le Rigattiate di Calamonaci, Burgio, Lucca Sicula e Villafranca Sicula, dove la corsa delle vare diventa un elemento della sfida fra le due confraternite religiose che dividono queste comunità (sangiuannara e sammichilara a Calamonaci, Lucca e Villafranca, santuvitara e santulucara a Burgio).
Ovunque ciò è un’esaltazione devozionale associativa, dove il singolo individuo tende a magnificare e mettere in evidenza le proprie gesta nei confronti degli altri partecipanti al rito collettivo: si rende gloria così al santo, ma il singolo vuole fare emergere la propria individualità in questa sfrenata gara devozionale.
Ciò che accade in particolare nei paesi delle Rigattiate si presta di per sé a interessanti valutazioni in merito alle forme e ai significati di tale ritualità.
Gli aspetti caratterizzanti di questo contesto di analisi sono essenzialmente tre: 1) la presenza dei rami d’alloro, che vengono portati e agitati dai devoti a ritmo di corsa danzata (anche se, al giorno d’oggi, in forma sempre più sporadica) e che sono anche utilizzati per la costruzione degli addobbi delle vare, su cui vengono montati i simulacri dei santi; 2) l’agonismo che caratterizza i due gruppi che si contrappongono fra di loro in riferimento ai santi delle proprie confraternite; 3) le performance caratteristiche (incitazioni, grida, corse sfrenate e balli al ritmo delle frenetiche tarantelle eseguite dalle bande musicali) che accompagnano il trasporto sfrenato delle vare da parte dei giovani appartenenti alle confraternite.

Diversamente da tanti altri esempi considerati, le Rigattiate non rientrano però a pieno titolo nella classica tipologia processionale, che si identifica fondamentalmente per la linearità di un percorso orientato verso una destinazione. Qui invece sembra prevalere il modulo “circolare” delle evoluzioni danzanti, che si concentrano in spazi prestabiliti, soprattutto a Calamonaci (corso Garibaldi), a Lucca (piazza Vittorio Emanuele) e a Villafranca (corso Vittorio Emanuele). Per quanto riguarda la natura agonistica delle Rigattiate, il fatto che nelle processioni agrigentine la competizione si sia polarizzata intorno a coppie di santi è da considerare esito di processi storici riconducibili ai contrasti tra quartieri, istituzioni (come le confraternite laicali) e/o categorie professionali (contadini vs. artigiani, ecc.). Un caso comunque atipico e localizzato inserito in un contesto territoriale più ampio, anche a livello regionale, dove le disfide hanno in genere un unico riferimento devozionale (il santo patrono) e non esistono santi di intermediazione a cui fa da rimando un determinato quartiere o ceto: è il caso delle feste catanesi già analizzato, dove i “simboli” di appartenenza questa volta sono i cerei (cannelore) del santo patrono bardati con le insegne di quartiere o categoria. La caratterizzazione fondamentale delle Rigattiate in questo contesto agonistico è comunque rappresentata dalle corse e danze frenetiche accompagnate da grida, frastuoni e melodie ripetitive. L’intitolazione di queste melodie ai Santi coinvolti nelle danze (sammichilata, sangiuannata, santulucara, santavitara) esprime la vicinanza di questi riti ai culti di possessione, dove la musica svolge funzione specificamente identificatoria, acquisendo valore di “divisa sonora”. La lingua che la musica parla è compresa da tutti e ciascuno la decodifica secondo il proprio livello. E’ per suo tramite, attraverso la danza da essa suscitata, che avviene il riconoscimento della divinità da parte di tutto il gruppo.
Testo tratto da "Le offerte danzate", di Sergio Bonazinga in "Calamonaci: antropologia della festa e culto dei santi nell'agrigentino".