Lu Viaggiu a Sammicenzu
La sera di ciascun martedì del mese, nel corso dell’intero anno, e così di seguito per i martedì, i mesi e gli anni a venire, con tenace avvicendamento generazionale, gruppi di donne si radunano sul sagrato della chiesa matrice di Calamonaci e di lì s’incamminano in processione lungo un prestabilito cerchio di strade, cantando un’orazione responsoriale in forma di rosario destinata al santo patrono San Vincenzo Ferreri. Non indossano abiti cerimoniali, non le precede alcun stendardo o altro paramento sacro e non conducono nemmeno un simulacro del loro santo. Eccettuati il canto e il lento procedere a mani giunte, qualcuna anche a piedi scalzi, non esibiscono emblemi espliciti della loro appartenenza cultuale. Lo stesso edificio religioso davanti al quale si

avvia e si conclude il loro itinerario devozionale, e dentro il quale ha la sua “dimora” il santo patrono, rimane sempre chiuso. La loro presenza per quelle strade del paese è tuttavia identificata dagli altri abitanti alla stregua di qualunque processione religiosa ufficiale, con le reazioni comportamentali che ne conseguono: al loro passaggio si interrompono le altre attività, si attenuano i rumori, si evita di offrire le spalle al corteo, ci si segna; gli uomini si alzano in piedi e si levano i copricapo, mentre molte donne, udendo approssimarsi le compaesane, si affacciano per strada e, qualche volta, si uniscono all’orazione. Questo incessante rito settimanale viene chiamato “lu viaggiu a Sammicenzu”: itinerario interessato e impegno istituzionale a incontrarsi ogni sette giorni per confermare il gesto di esplicita dedica devozionale legato alla preghiera.
Esaminata più al suo interno, la procedura di ogni “viaggio” prevede tre momenti caratterizzanti:
- L’esordio. Dopo il raduno davanti alla chiesa, proprio a ridosso dell’ingresso chiuso, non appena è calato il buio completo, il gruppo si ordina in corteo e dà inizio all’attività di preghiera, muovendo verso l’itinerario prefissato. La o le devote che ricoprono il ruolo di guida (due o tre se si è in tante), situate alla testa del gruppo con la corona in mano, in coincidenza con ciascuno dei grani piccoli (curadda) intonano i versi "Sammicenzu è lu gran santu/ e ddi Diu l’amatu tantu", cui seguono ogni volta il responsorio corale ("E’ un ancilu calatu/ e ddi Ddiu l’annamuratu") e poi i versi di chiusura eseguiti da tutte le partecipanti: "E’ la çiamma di l’amuri/ Sammicenzu lu prutitturi". Nel turno corrispondente a ognuno dei cinque grani grossi (posti alla fine di ogni decina di curadda), ancora tutte le partecipanti eseguono il misteru, con una ripetizione finale: "Oh Sammicenzu/ ch’è lu gran pinitanti/ ch’è lu veru nnuccenti/ amatu di Ggesù/ ch’è lu veru nnuccenti/ amatu di Ggesù/ ch’è lu veru nnuccenti/ amatu di Ggesù".
- La circumambulazione. Mantenendo l’assetto esecutivo appena descritto, la comitiva si immette nel circolo viario convenzionalmente denominato ggiru di santi (giro dei santi) che trae origine dai confini esterni dell’insediamento abitativo originario e costituisce il medesimo percorso prescritto per quasi tutte le principali processioni festive e le sfilate solenni della comunità. L’intero tragitto viene coperto nel tempo più o meno corrispondente alla sgranatura di tre corone; dopodiché si ritorna al sagrato di partenza.
- Il commiato. Tornate davanti alla porta della chiesa, le rosarianti completano la terza corona e, com’è convenzione dire, prisentanu, offrono, la preghiera al santo. In conformità con il modello preso a riferimento (il rosario mariano), questa fase conclusiva si compone di una serie di orazioni canoniche (Pater, Ave, lodi a San Vincenzo, ecc.) che assolvono funzioni celebrative e propiziatorie. La durata e il loro abbinamento vengono stabiliti dalla “voce guida” che ne esplicita le finalità con formule introduttive ricorrenti. Un segno della croce conclude quindi l’intero cerimoniale, permettendo al gruppo di sciogliersi, ma qualcuna delle devote può trattenersi ancora in atteggiamento di preghiera, per indirizzare al santo le proprie istanze personali.
Il viaggiu di Sammicenzu acquista un primo ordine di intelligibilità nell’appartenenza all’antico istituto cultuale del votum. Anche se a svolgere l’orazione itinerante possono ritrovarsi tutte coloro che la volessero intendere quale esercizio di devozione ordinaria (avvicendando le altre partecipanti con maggiore o minore costanza nel corso dell’anno), in modo elettivo essa è intrapresa soprattutto da chi, stipulando la relativa prummisioni avendola cioè preventivamente offerta alla divinità in cambio della risoluzione positiva di un’emergenza esistenziale, a grazia ricevuta tiene fede all’impegno.
Testo tratto da "Preghiere itineranti, legami votivi e vincoli territoriali", di Giuseppe Giacobello in "Calamonaci: antropologia della festa e culto dei santi nell'agrigentino".